Non esiste una verità assoluta. Già da ragazzo Albert Einstein mi affascinava con i suoi principi sulla Relatività, ma da adulto in termini filosofici ancor di più mi son convinto del fatto che tutto possa essere vero o falso a seconda del punto di vista.
La cosa è scomoda, intendiamoci, perché mi pare che la mancanza di punti di riferimento fissi crei veramente disagio a molti.
Il succo è: non posso ritenere che la mia idea sia necessariamente giusta, devo sempre prendere in considerazione il fatto che altri la pensino in modo diverso e che addirittura in altre situazioni possa essere definita falsa a maggioranza.
Non esiste il giusto o lo sbagliato, il buono o il cattivo. Ogni cosa è soprattutto percezione.
Così, chi l’ha detto che gli spaghetti si mangiano con la forchetta e la minestra col cucchiaio?
Perché riteniamo che se 100 milioni di persone al mondo amano il caffè espresso, questo debba essere il modo migliore di berlo, in barba a sei miliardi di altre persone che lo bevono in modo diverso?
La tolleranza diventa quindi una necessità primaria e la cosa strana è che è necessaria di più al tollerante che al tollerato.
Senza tolleranza, infatti, il rischio di cadere nell’errore grossolano è enorme. Certi della giustezza di una nostra idea, potremmo combinare disastri nel portarla avanti a spada tratta.
Questo non implica la rinuncia a manifestare ciò che pensiamo, ma solo al perseguire in modo eccessivo il tentativo di convincimento degli altri.
Così credo che lo star bene passi necessariamente per la strada che potremmo chiamare Via della Comprensione.
Pensiamoci ogni volta che esprimiamo un giudizio su qualcuno. Noi non siamo nessuno e non esiste garanzia alcuna che noi si viva nel Giusto Universale.