Solo da qualche giorno ho finito di leggere Shōgun di James Clavell e la mia mente è ancora piena di lei, Toda Mariko, la nobildonna caduta in disgrazia per l’omicidio del padre, che uccise il suo Shogun.
Mariko-sama, uso il suffisso “onorevole” che James nel romanzo fa impiegare ai suoi personaggi quando si rivolgono ad una figura di livello superiore, è una donna concentrato di senso del dovere, passione e amore, dolcezza, nobiltà, senso dell’onore e della giustizia.
Mariko è fresca, gioiosa nella tristezza, ferma nella sua condizione di donna-proprietà, intelligente amministratrice del suo essere e di quello di chi le sta attorno.
Intelligentissima al punto d’aver capito che è meglio nascondere la propria intelligenza in una società in cui la menzogna è la normale prassi di vita, dove Etichetta, Riti, Regole, la fanno da padroni rispetto a tutto il resto, certo con l’obiettivo di proteggere la società nel suo insieme, prima che la vita del singolo.
Mariko è divertente e intrigante, quando parla di sesso e lo indica come un gioco importante per il mantenimento dell’equilibrio e la forza di vita, come di qualcosa che non dovrebbe avere impedimenti.
Fa innamorare di lei, il fatto che Mariko voglia morire per lavare la sua vergogna, ma godersi la vita per ciò che ha, in attesa del suo momento. Chiede di morire, ma intanto vive.
Di Mariko ci si potrebbe innamorare all’istante, se fosse reale, tanto è poliedrica e sfaccettata la sua personalità.
Penso a lei, ne sento l’Aurea attorno a me, percepisco le sue Vibrazioni, sento la sua voce nella mia mente. Bevo tè e mi pare di vederla intanto che seduta secondo la loro usanza mi offre con le due mani una tazza di cha.
So che mi terrai compagnia per un po’ della mia vita, Toda Mariko-noh-Buntaro-noh-Hiro-matsu figlia del Nobile Akechi Jinsai, della famiglia Takashima, grazie.