Si era ormai pentito da un pezzo della sua decisione e quella tonaca da prete non riusciva proprio più a sopportarla.
Non si trattava solo dell’abito in sé, ovviamente, ma di tutto quello che la cosa implicava, compresa una certa difficoltà a parlare con gli altri. Anche se a lui pareva una cosa normale, per le persone che incontrava non lo era e questi lo trattavano diversamente.
La responsabilità di interpretare una figura che nelle regole sociali ha un significato importante, gli dava un peso eccessivo e che non aveva previsto. Tutti si aspettavano che lui si comportasse secondo certi schemi e questo non gli andava proprio. Gli pareva di aver perso per sempre la libertà.
La sua mente era un turbinio di pensieri e sempre più frequentemente lo assaliva il desiderio di ritornare a vestire abiti normali. Una vocina in un angolo del cervello gli sussurrava che ormai aveva l’obbligo di arrivare sino alla fine secondo la decisione iniziale, ma alla parte cosciente del cervello questo non pareva giusto. In fondo, ognuno ha il diritto di cambiare idea. L’importante è che le motivazioni non siano banali o dettate da un momentaneo malumore o sofferenza.
Per fortuna, comunque, nessuno si era accorto del suo malessere e tutto proseguiva regolarmente, anche se dentro di lui vi era una furiosa battaglia. Importante era, soprattutto, che non se ne fosse accorta lei, che avrebbe sentito il peso della responsabilità di questo dilemma. Già, perché c’era una lei.
Si decise, infine. Si tolse la tonaca e restò coi jeans scuri e la camicia bianca. Gli pesava dover ammettere d’aver fatto un errore, ma non aveva senso proseguire con quella finzione.
“Ma che hai fatto?” – gli chiese lei, interpretando il pensiero di tutti gli altri.
“Mi sono tolto la tonaca, tesoro. Ero stufo marcio!” – gli rispose lui – “In fondo tre ore vestito così sarebbero tante per tutti. La festa di carnevale posso continuarla comunque, no? Ti scoccia? Tu resti ancora vestita da rana?”