Ogni tanto, non per stanchezza, ma perché mi dicono che si fa, interrompo il mio viaggio per fare una pausa.
Per un attimo mi sento a disagio perché non sono abituato agli stop e quasi non so che fare, ma poi decido che tutto sommato un istante di immobilità non potrà farmi male e già che ci sono mi siedo un po’ a riflettere.
Da quanto dura il mio viaggio? Da tanto. Strano. Non sono poi così stanco. Penso a tutte le cose che ho visto e i ricordi mi passano davanti come le immagini nel cervello spaziale di un Voyager I che dal pianeta delle macchine torna alla ricerca della Terra e del suo Creatore.
Ognuna di queste immagini ha una sua vita che sembra animarla anche nella sua immobilità. Una vita racchiusa nello spazio di un ricordo.
Sono tanti i ricordi ed uno, in particolare, mi torna. Mia nonna che mi dice “Franco” – lei mi chiamava così – “non si vive di ricordi”. Decido, quindi, di usare la mia pausa per riordinare le idee sulla continuazione del viaggio. Che problemi ho avuto sinora? Dove ho sbagliato? Come evitare in futuro di fare gli stessi errori?
Quasi casualmente mi ritrovo a pianificare le prossime tappe, le esperienze da portarmi dietro come strumenti di viaggio e le macchine da lasciare indietro come ricordi del presente che diventa passato. Un calendario si apre davanti ai miei occhi ed il mio avatar lo percorre sorridendomi come se fossimo due entità diverse.
Poi la pausa, per fortuna, finisce.
Che strano. Un attimo prima di rimettermi in moto mi trovo a sorridere al pensiero che proprio in questo intermezzo in realtà il viaggio è proseguito a ritmo più sostenuto.
È quando ti fermi che ti muovi di più.