Immagino una tavolozza con i colori fondamentali, senza sfumature intermedie, forti, esprimenti sensazioni decise.
La terra è rossa ovunque, coperta da una vegetazione di un verde rigoglioso. Dove il verde non c’è, è perché non ci sono piante.
La terra diventa sabbia ed il colore diventa giallo paglierino quasi bianco, lambito dal celeste trasparente di un mare che diventa blu intenso guardando verso l’orizzonte e proseguendo su verso il cielo.
Il blu del cielo contrasta in modo quasi violento con il rosso della terra ed il verde degli alberi. Solo il marrone dalla punta bianca d’ alcune altissime vette, lontano sullo sfondo, modifica la scena altrimenti costante ovunque.
E che dire dei profumi?
Si passa dall’intenso odore di iodio e ozono della spiaggia alla pura aria cristallina della prima entroterra, per arrivare al forte sentore degli alberi resinosi dei parchi naturali e all’asettico e caldo profumo del deserto.
Attorno ai villaggi e nelle povere cittadine, il sapore di spezie ti circonda mescolato a quello nitido dei cibi. Pochi e ben riconoscibili.
Gli animali, gli stessi che a volte vediamo nei circhi, qui hanno umori diversi che, forse perché inseriti in un contesto naturale, risultano meno fastidiosi. Sembra, ed è, tutto normale, tutto programmato, tutto accuratamente accostato da migliaia, anzi milioni, d’anni di evoluzione controllata solo dalla selezione.
Le sensazioni sono di grande calore. Non per la temperatura, ma per lo sforzo coraggioso che ognuno fa per continuare a sopravvivere. Pur nello sforzo, tanti sorrisi e voglia di vivere. Chiedere l’elemosina qui fa un effetto diverso che di fianco al semaforo in città. Qui sembra una cosa dignitosa.
Lavori umili, ma ricchi di manualità. Il calore di un pezzo d’ebano lavorato con rozzi strumenti e bello non per la levigatezza scientifica di un tornio, ma per l’amore che ha consentito il trasferimento di un’immagine tramandata da padre in figlio.
Così immagino il Kenya.