In un quartiere brutto e malfamato, molte decine di anni fa, un uomo tutto vestito di nero si aggirava per le vie.
“Fai la brava, altrimenti passa l’uomo nero e ti porta via” – diceva una mamma alla figlia che ogni tanto combinava qualche pasticcio.
L’uomo nero era sempre silenzioso, non rideva mai e rispondeva a malapena ai saluti che qualcuno osava rivolgergli, più per timore che per desiderio.
Tutti ne avevano paura.
Lo si vedeva spesso aggirarsi nei pressi delle chiese e delle fabbriche dove lavoravano molti bambini.
Ultimamente, poi, erano successi fatti molto strani. Alcuni bambini senza genitori erano spariti senza lasciare tracce. Di loro non s’era saputo più nulla.
I ben informati dicevano che l’uomo nero, sapendo che nessuno ne avrebbe denunciato la scomparsa, li aveva rapiti e sacrificati al diavolo.
Molti cominciarono a notare che, in effetti, l’uomo nero a messa guardava insistentemente i bambini, come alla ricerca di qualcosa che non trovava.
Nel quartiere il timore aumentava, ma nessuno faceva nulla perché non essendoci prove precise, non ci si voleva esporre a vendette sui propri bambini.
Arna aveva dieci anni ed era incuriosita dall’uomo nero, anche se ne aveva paura. L’aveva incontrato qualche volta per strada ed era rimasta stupita dalla strana serenità che l’uomo emanava. Era solo, silenzioso e nero, ma non aveva la faccia arrabbiata, anzi. Non rideva, ma pareva tranquillo. Certo, non bisognava guardare i suoi abiti, la barba ed il lungo cappello, nero come il resto.
Arna non aveva genitori. Viveva sola e senza parenti, guadagnando il cibo che gli serviva lavando i piatti nei ristoranti del quartiere. La mattina puliva i pavimenti dei pub e la notte dormiva in un angolo della chiesa che il parroco lasciava appositamente aperta per lei ed altri bimbi nelle stesse condizioni.
Un giorno Arna, girando un angolo, finì addosso all’uomo nero. Sconvolta si preparò a scappare dalla sua furia, ma, stranamente, lui non si scompose.
“Ciao” – gli disse semplicemente.
“Mi scusi, signore” – rispose timidamente Arna.
L’uomo nero la guardò da capo a piedi come esaminandola ed improvvisamente esclamò – “Hai genitori? Dove vivi? Come mangi?”
Arna non si fece ripetere l’invito e, sempre pronta a scappare, gli raccontò come viveva.
“Mi dispiace tanto” – disse l’uomo nero, senza battere ciglio e senza sorridere.
“Vieni con me?” – aggiunse ed Arna, indecisa ma curiosa, lo seguì col cuore che batteva all’impazzata.
L’uomo nero si fermò davanti ad una villa nascosta da un alto muro, con un bellissimo giardino pieno di alberi secolari e strani grossi uccelli rosa con un solo piede.
“Come fai ad entrare?” chiese Arna.
“È casa mia” – rispose l’uomo nero.
“È vero che rapisci i bambini per darli al diavolo?” – chiese direttamente Arna.
“No, chi ti ha detto una cosa simile? So che non sono molto ben visto, ma non pensavo si arrivasse a tanto.” – rispose lui.
“Tutti lo dicono perché sembri molto interessato ai bambini orfani come me e molti sono spariti” – incalzò Arna, che cominciava a perdere il suo timore e che era decisamente passata all’attacco.
La risposta dell’uomo nero la sconvolse.
“Sì, è vero, sono interessato ai bambini orfani. Li invito a trasferirsi qui, a casa mia, per qualche giorno. Poi trovo loro una sistemazione presso una delle tante famiglie con le quali sono in contatto, di modo che possano vivere una vita decente ed andare a scuola. È il mio lavoro.”
Arna non seppe che dire. “Come mai non l’hai mai detto a nessuno?” – fu solo capace di sussurrare.
“Perché nessuno mi ha mai chiesto nulla.” – rispose l’uomo.
“Ho viaggiato molto, visto tanta povertà, tanti bimbi morire di stenti ed ho deciso che voglio usare le mie ricchezze per fare ciò che mi piace. E mi piace far questo. Ho possedimenti che mi consentono di vivere senza lavorare e passo il giorno cercando bambini senza genitori da aiutare.”
Arna, orfanella pure lei, non tornò più in paese. Non andò in una famiglia, comunque. Si fermò nella grande casa, studiò e passò la sua vita aiutando l’uomo nero nella sua impresa.