Passeggiava per le vie della città senza che nessun cono scuro si proiettasse sul marciapiede. Qualche tempo prima s’era dovuto privare della sua ombra perché non restasse traccia del suo passaggio.
Gli specchi non riflettevano la sua immagine e la luce delle lampadine non s’oscurava se lui era davanti. Era vivo e presente, ma non doveva lasciare alcun segno. Tutti dovevano ignorare che esistesse. Persino la sua auto non faceva rumore e la notte era il suo giorno.
“Mi dispiace tanto” – aveva detto all’ombra – “in questo pezzo della mia vita non puoi accompagnarmi e forse mai più staremo assieme. Devo non esserci.”
Tutto era come lui voleva. Per una fetta di mondo non esisteva e non sarebbe mai esistito. Arrivava ed andava lasciando ogni cosa come l’aveva trovata ed in modo che nessuno lo vedesse. Loro non avrebbero mai saputo.
Era felice.
Nelle zone più segrete della sua mente, nella cella dove volontariamente si era rinchiusa per amor suo e per consentirgli di vivere la vita che desiderava, la sua ombra disperata urlava di dolore.