Era piegata sulla ginocchia, le gambe leggermente allargate, i seni contro il materasso, il viso sul cuscino, mentre lui da dietro, divaricandole leggermente i glutei, col glande premeva per passare tra le piccole labbra.
Le piaceva molto e per sentirlo meglio contraeva i muscoli della vagina per opporre una resistenza che aumentava la sensazione di essere riempita dal suo membro. Lo voleva dentro sino in fondo, ma lui non pareva averne l’intenzione. Continuava a far entrare ed uscire solo la punta, facendole sentire il ritrarsi dei residui dell’imene, la pressione nella primissima parte del canale e la successiva frizione causata dal lento ritrarsi.
Proseguì per vari minuti, qualche volta entrando un po’ di più e soffermandosi un istante. Una delle sue mani si era spostata a carezzarle la schiena, graffiandola leggermente con le unghie e facendole inarcare il corpo al passaggio del palmo caldo.
Lui si fermò un secondo facendole capire le sue intenzioni. Con decisione, ma con forza controllata per non farle male, entrò sino in fondo spingendo il suo pube contro le natiche e facendole scomparire dentro ogni millimetro del duro membro. Si fermò un istante, si mosse lentamente lateralmente, si ritrasse senza uscire e rientrò premendo ancora.
Si sentiva presa sino all’anima. Le pareva di poter distinguere ogni vena, ogni rugosità della pelle, ogni nervo di quel pene che la penetrava. Le piaceva essere posseduta così. Era un gioco psicologico. Lui la prendeva, ma lei lo controllava perché sapeva di farlo impazzire.
“Scopami tesoro, ti prego!” – gli disse.
“Mi fai morire.” – rispose lui con un filo di voce.
“Lo so, e voglio farti venire!”
Lui iniziò ad entrare ed uscire in modo più ampio, con gesti lenti, ma decisi, variando ogni volta l’inclinazione, la direzione o la pressione. Sembrava che ogni affondo fosse leggermente diverso dal primo e la sensazione sempre nuova.
“Solo un attimo, scusa.” – gli disse. Prese due cuscini e se li mise sotto, appoggiandovi i seni. Le piaceva il senso di calore che gli arrivava, la pressione morbida e la sottile carezza data dalle pieghe delle federe.
“Te la godi, eh?” – le chiese lui.
“Sì, mi fai impazzire. Ho voglia di toccarti.” – gli rispose lei.
Infilò un braccio sotto di sé, con la mano arrivò tra le sue cosce e da sotto accarezzò i testicoli di lui, stringendoli delicatamente con le dita. Gli pizzicò leggermente la pelle con le unghie, li palpò coi polpastrelli, li strinse ancora.
“Sei troia da morire!” – gemette lui e lei, girando il viso con fatica, lo guardò con un sorriso di soddisfazione. Fargli perdere il controllo la eccitava ancora di più e la spingeva a concederglisi ulteriormente.
Lui si ritrasse quanto bastava per arrivare con la mano al suo pene, ne tirò indietro la pelle e proseguì a scoparla così. Anche se la mano ostacolava leggermente, il fatto che la pelle fosse trattenuta aumentava l’attrito contro i tessuti interni della vagina. Sentirlo così chiaramente dentro di lei, le fece venir voglia di averlo anche in bocca e sentirne la durezza tra le labbra.
“Vorrei che avessi due cazzi e che mi riempissi tutta, amore.” – gli disse.
Per tutta risposta, lui con la mano libera, le prese i capelli e glieli tirò quanto bastava per sentirne la tensione. Lei ebbe un sussulto di piacere e istintivamente si sfiorò la clitoride con la mano libera.
“Ancora, ti prego!“- gemette lei. La sua capacità di godere le consentiva di distinguere e sommare le fitte di piacere che arrivavano dalla passera, dalla mano calda di lui sulla sua schiena, dal cuoio capelluto sotto tensione, dai seni poggiati sui cuscini e dalla leggera masturbazione che si stava dando da sola.
L’orgasmo oltre che fisico era anche psicologico ed era questo che le piaceva di più. Avere in mano i suoi testicoli intanto che lui la prendeva alla pecorina e vederlo così coinvolto, la faceva sentire femmina come mai le era capitato. Stava per venire.
Si svegliò all’improvviso, con una mano infilata nel perizoma e l’altra su un seno, mentre il suo corpo ancora sussultava.
Confusa, si guardò attorno e comprese d’aver sognato. Restò smarrita per qualche secondo, poi affondò il viso nel cuscino e cominciò a piangere sommessamente.
Lei amava il suo uomo e stava bene sessualmente con lui. Non riusciva a capire, quindi, perché ogni tanto sognasse di far sesso con quell’altro e perché la cosa fosse sempre così intensa. Si sentiva in colpa, anche se era solo un sogno ed avrebbe voluto cancellare quei momenti dalla sua mente, soprattutto l’averlo chiamato amore.
Singhiozzò per molto e la sveglia segnava le 5 quando chiamò il suo ragazzo al telefono.
“Ciao, tesoro.” – gli disse.
“Ciao, che ci fai sveglia?” – rispose con voce assonnata.
“Mi sono alzata un attimo per bere ed avevo voglia di chiamarti. Scusami.” – disse lei.
“Niente, figurati. Tutto ok, Smilla?”
“Sì, un bacio. Ci sentiamo domani.”
“Ok, torno a dormire anch’io. Ciao.”
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[Nota dell’autore] Per questo racconto ringrazio Alice e Giovanna, con le quali anni fa feci una revisione sistematica dello scritto, per arrivare ad avere l’effetto che cercavo. Mi aiutarono nella scelta delle parole e nella definizione dei movimenti. Quattro ore di lavoro e confronto, per ridurre al minimo la parte scritta, soppesando ogni parola, soprattutto per separare i concetti di Smilla da quelli dell’autore del racconto.
Questo è uno dei miei primi racconti erotici, anche se non segna l’inizio di questa raccolta
I racconti della saga di Smilla:
- Lei: ristorno serale;
- Ancora lei: momento hard;
- Lui: telefonata alla 5;
- L’Altro: toglierselo dalla testa.