“Quell’idiota che aveva scritto Il Diario di Fradefra proprio non sapeva un tubo!” – pensò Venus riponendo quelle antiche pagine che ormai il tempo aveva quasi distrutto. “Ma che mago del cavolo… È solo un vecchio che si diverte a farmi restare zitella! … e poi io non mi chiamo Eva!”
Il palazzo era illuminato dalla luce multicolore delle cinque lune che pendevano dal cielo di quel mondo ai limiti della galassia. Il ricco edificio, una delle tante dimore che possedevano nell’universo, si ergeva marmoreo su una duna rocciosa color rosso fuoco e lei e suo padre vi si erano trasferiti per uno dei tanti esperimenti in corso. L’avvio della vita su un nuovo pianeta.
“Maledetto vecchiaccio” – sibilò – “coi suoi noiosi esperimenti mi mette sempre a far la mamma di esseri di ogni forma e colore. È ora di finirla!”
In effetti, il vecchio era una fucina di nuove idee. Ogni giorno creava una nuova specie e Venus aveva l’incarico di avviare i delicati processi evolutivi ed innescare le dinamiche tra i sessi opposti. Si sentiva molto sola perché questo continuo andare e venire, senza mai una relazione che superasse i mille anni, le impediva di coltivare qualcosa di serio.
Inoltre suo padre non aveva l’idea di cosa a lei piacesse e quindi le specie create tutto erano, salvo che divertenti. “Tanto è solo lavoro.” – le diceva lui – “eh già, però qualche volta potresti fare in modo che io mi diverta anche un po’” – ribatteva lei con una strana luce negli occhi.
Stavolta toccava ad un pianeta di un sistema solare che definire “sfigato” era veramente il minimo. Venus inorridiva al solo pensiero di stare su un mondo coperto d’acqua per sei settimi della sua superficie.
L’incarico era il solito. Arrivare sul pianeta, fare conoscenza col rappresentante appena creato della nuova specie, restare con lui sino alla sua morte e sotto varie altre identità continuare per una decina di migliaia d’anni ad essere la partner di elementi chiave nell’evoluzione. Questo le consentiva di dare gli opportuni stimoli, influire sulle decisioni vitali ed impedire deviazioni pericolose. Era bravissima in ciò e suo padre lo sapeva. Era maledettamente in gamba e non aveva mai fallito un progetto. Il bello era che riusciva a non far restar traccia di lei nelle storie delle razze avviate.
Trascorse gli ultimi giorni a palazzo studiando il pianeta sul quale presto si sarebbe trasferita. Volutamente trascurò d’informarsi sulla specie, invece. Dalla sua esperienza emergeva che per certe cose erano molto meglio l’improvvisazione e l’istinto.
Tutto era pronto per il transfer. Sarebbe andata senza attrezzatura per evitare i problemi di ricostruzione molecolare delle masse inorganiche. Con sé avrebbe avuto solo del cibo per le prime ore e indumenti intimi di un tessuto vegetale.
Partì dopo un veloce saluto al padre. “Stammi bene, vecchio. A presto.” – gli disse. Non voleva fargli vedere che le sarebbe mancato. Lui ricambiò distrattamente. Stava già pensando ad un nuovo mondo.
“Cazzo, mai una volta che calcoli come si deve la rotta!” – esclamò Venus quando si accorse che il transfer l’aveva portata in mare. Per fortuna era a pochi chilometri dalla riva e la sua conchiglia viaggiatrice era fatta in modo da potersi spostare lentamente sull’acqua.
Sulla terra, vicino ad un gruppo di alberi, il nuovo essere l’osservò arrivare, sorpreso dalla sua comparsa. Lei era seminuda, con lunghi capelli biondi e con un’aria sognante. La trovò subito bellissima, anche se con alcune piccole differenze rispetto a lui. “Boh” – disse tra sé – “Poi vedremo di capire…“.
Lei lo osservò studiandolo da capo a piedi, intanto che si avvicinava alla riva. Era emozionata. Lui aveva un petto scolpito, gambe proporzionate e addominali forti. “Stavolta paparino ha lavorato bene!” – pensò pregustando furbescamente i prossimi secoli sul pianeta.
Intanto che il suo cervello pensava vorticosamente al prossimo passo, si avvicinò ad uno degli alberi e riconoscendo un frutto rosso dall’aria polposa, lo staccò e lo porse all’essere dicendo “Vuoi?“